Woody Mellor prima di diventare Joe Strummer è alla ricerca di qualcosa, non si risparmia e cerca di interpretare quanto gli accade come se fosse un segno del destino.
Partecipa alla seconda edizione del festival di Glastonbury; sono giornate di musica e festa collettiva a cavallo del solstizio d’estate del 1971 segna il periodo “hippy” del giovane Woody. Trascinato dall’atmosfera, entra in contatto con la Missione della luce divina del guru Maharaj Ji, un gruppo dedito alla meditazione trascendentale. In cartellone è prevista anche l’esibizione di Arthur Brown, provocatorio cantante ante-hardrock che è solito dipingersi la faccia e mettere in scena inquietanti sabba. Durante il concerto, un gallo appollaiato in cima ad un imponente crocifisso viene incenerito. Joe/Woody ne rimane turbato e decide di diventare vegetariano. Allo stesso modo, quando passa una nottata al fresco perché viene beccato a rubare una bottiglia di latte dal pianerottolo di un appartamento, annuncia di avere intenzione di smettere di bere latte di mucca, boicottaggio che manterrà per tutta la vita.
Si appassiona all’ukulele dell’amico e coinquilino Tymon Dogg. “Ha quattro corde, quindi deve essere più semplice della chitarra”, si schernisce. Subito dopo l’estate, tutta la comunità di Vomit Heights si trasferisce al 34 di Ridley Road, nel quartiere di Harlesden a nordest di Londra. È una zona piena di migranti caraibici, oltre che di brasiliani e portoghesi. Joe che ha ancora meno soldi del solito ed è costretto a fare piccoli lavoretti.
In dicembre, invia una lettera all’amico Paul Buck che contiene un poster di Robert Plant e qualche consiglio un po’ avventato per andare fuori di testa in maniera economica: “Si tratta di bollire funghi velenosi nel vino rosso”, scrive. Da lì a qualche mese accompagna Tymon a suonare in metropolitana. Di solito si esibiscono al tardo pomeriggio “quando probabilmente tutti sono sbronzi”. All’inizio Joe si limita a raccogliere le monete “come un apprendista bluesman del Missisippi”, poi acquista il suo ukulele per una sterlina e novantanove e comincia a rendersi conto di quanto è importante riuscire ad attirare l’attenzione del pubblico fugace che si muove nella Londra sotterranea. Le prime canzoni del repertorio sono “Johnny B. Good” “Sweet Little Sixteen”, di Chuck Berry.
Un giorno, però, accade di nuovo qualcosa che Joe interpreta come un segno del destino: uno statunitense passa di fronte al concertino di strada, simula uno svenimento e lo prende in giro: “Non posso crederci! Suoni rock’n’roll con l’ukulele!”. Così decide di passare alla chitarra. [continua]
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