Circa quattrocento alunni frequentavano il London Freemen’s. Di questi un centinaio era ospite del collegio. Soltanto nel 1981, parlando con il New Musical Express, Strummer dirà il nome della scuola che aveva frequentato. Cinque anni prima, intervistato da Caroline Coon sul Melody Maker, racconta una storia che si accompagna meglio all’immaginario dei dannati della terra e che probabilmente gli serve ad emanciparsi dalla posizione del padre. Dice di essere stato catapultato a nove anni “in un uno strano mondo dickensiano e vittoriano, con corridoi sotterranei e cantine oscure”. È uno scenario cupo eppure familiare ai più che però, va detto, tutto sommato è stato confermato dai racconti degli altri studenti di quell’istituto in quel periodo. Come nella migliore tradizione dei romanzi d’appendice, il giovane Mellor tenta anche di evadere insieme a un compagno di scuola ma viene riacciuffato.
È una situazione, quella del collegio e la lontananza coi genitori, che trasforma il combattivo Joe e il sempre più imbronciato e timido David. Da giramondo diventano, o almeno si sentono, orfani a tutti gli effetti. Il senso di abbandono diventerà parte della retorica strummeriana nei primi anni dei Clash, quando si trattava di guadagnare in street credibility di fronte ai lettori. Più avanti, questa condizione sarà parte delle riflessioni mature del padre di famiglia: “Penso spesso ai miei genitori – confessa Strummer parlando con Don Letts nel documentario “Westway to the world” – Penso a come dovevo sentirmi per il fatto di essere spedito in collegio per vederli solo una volta all’anno. Quando sei un ragazzo ti limiti ad affrontare le cose come vengono, e questo deve avermi cambiato la vita dal momento che ho realizzato che dovevo dimenticare i miei per rimanere a galla. Quando sei piccolo arrivi al cuore delle questioni. Adesso ci rimango male perché quando sono tornati a vivere in Gran Bretagna non andavo a trovarli”.
I suoi compagni lo ricordano per lo humor anti-convenzionale, che spesso gli serviva per alzare una cortina fumogena e non esporsi troppo. Joe legge molto, il suo scrittore preferito è T. E. Lawrence. In collegio diventa difficile andare al cinema, ma i ragazzi sono solito guardare vecchi film. In diverse interviste Joe racconta di aver amato molto “Lawrence d’Arabia” (che giudica “meglio del libro”) e “Viva Zapata”, il film di Elia Kazan tratto da un soggetto di John Steinbeck con Marlon Brando nel ruolo del rivoluzionario messicano, che gli ricorda i suoi trascorsi nel paese centroamericano. I vecchi film di gangster colpiscono il ragazzo, iniziandolo all’immaginario cinematografico che avrà un ruolo fondamentale nella costruzione dell’iconografia dei Clash.
Ogni domenica pomeriggio i collegiali hanno la facoltà di guardare alla televisione il programma musicale “Thank Your Lucky Stars” che va in onda su Atv. “è qui che vidi i Rolling Stones per la prima volta, cantavano ‘Come On’ di Chuck Berry. Vederli ci ha fatto flippare”. Nel 1964, poi, Joe ascolta ”Not fade away” un pezzo scritto da Buddy Holly e interpretato dai Jagger e compagni. Una canzone che, dirà con enfasi negli anni Ottanta parlando col Nme, gli indica “la strada verso la libertà”.
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