Possedevamo un delizioso pezzetto di carta con su scritto ‘Questo lotto è stato occupato’ – ha raccontato Joe a Jon Savage – Conoscevamo tutti i dettagli legali. Entravi, cambiavi le serrature ed era fatta. Nove decimi della legge concernono la proprietà, eravamo molto organizzati”. Così, si sposta poco lontano: in una casa bombardata nella Seconda guerra mondiale al 101 di Walterton Road, la strada che incrocia il boulevard squatter di Chippenham. È un modo, ipotizza Chris Salewicz in “Redemption song”, per trovare autonomia e sottrarsi allo sguardo di due persone che lo influenzano molto: il mentore musicale Tymon Dogg e quello politico, l’occupante Dave Goodall.
L’edificio di Walterton Road ha un piano terra che sarebbe diventata la sala prove dei 101’ers, la band che avrebbe preso il nome dal numero civico dell’occupazione. Il bagno è fuori, nel cortiletto interno. Non c’è acqua calda e per bere il tè si usano vasetti di marmellata riciclati. Quando Deborah Kartun lo va a trovare ne rimane disgustata. Di tanto in tanto, Joe porta la roba a lavare ai suoi genitori, che anestetizzano nell’alcool il dolore per il suicidio del figlio maggiore, David. Se ne accorgono soltanto i conoscenti più intimi: gli altri vengono affabulati dalla parlantina di Anna e Ron Mellor e intontiti dai drink “75 per cento gin” che questi ultimi servono a chi li va a trovare.
A luglio di quel 1974, Joe/Woody va al festival rock di Knebworth House, 40 miglia a nord di Londra, dove rimane impressionato dal set della Allman Brothers Band e vede i live di Van Morrison, dei Doobie Brothers, di Tim Buckley. Si esibisce anche The Sensational Alex Harvey Band, un gruppo che pastura rock senza infamia e senza lode ma che colpisce per il suo stile teatrale.
C’è da dire che qualcosa nella scena musicale britannica sta cambiando. Anche qui, per accorgersene bisogna avere particolare sensibilità. Per gli osservatori superficiali, quelli che si fanno intontire dal 75 per cento di gin di grandi show, paillettes e assoli interminabili, vanno ancora per la maggiore il rock della generazione precedente (Who e Rolling Stones), al progressive (Genesis, Yes, Emerson Lake and Palmer) e il glam (David Bowie e Roxy Music). Tuttavia, dall’altra parte dell’oceano arriva il rock sfrontato e grezzo, tre accordi e via, dei New York Dolls, che riproducono col piglio da bulli del Lower East Side gli schemi degli Stones scarnificandoli ulteriormente.
Il corrispettivo britannico dei Dolls, per certi versi ancora più perturbante perché arriva da vicino. I Dr. Feelgood vengono da Canvey Island, nell’Essex. È un posto orribile situato all’estuario del Tamigi, avvelenato dalle ciminiere delle industrie petrolchimiche e dove vanno in vacanza i piccolo borghesi di Londra. Wilko Johnson e Lee Brilleaux, il nevrotico chitarrista e il granitico cantante dei Dr. Feelgood, trasformano la frustrazione della periferia balneare della metropoli in rabbia e provocazione. Quando arriva il fine settimana si mettono il vestito buono per non sfigurare – giacche e cravatte dal taglio improbabile, nulla a che vedere con l’ossessione per lo stile dei mod – e vanno a suonare nei pub di Londra canzoni rock’n’roll che non durano più di tre minuti.
Il futuro Strummer coglie al volo la novità, che i magazine musicali etichettano con un po’ di superiorità come “pub-rock”. [15. continua qui]
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.