È una giornata finalmente estiva, a Londra, nel mese di giugno del 1976. Joe e Mick vanno da Roger Armstrong, colui che aveva prodotto i dischi dei 101’ers, al sui negozio di RockOn su Kentish Town Road. Gli raccontano del gruppo e gli annunciano che hanno un nuovo nome: prima si chiamavano The Heartdrops (l’ispirazione era venuta da una canzone dei Big Youth: “Lightining Flash (Weak Heart Drop)”), adesso si chiameranno The Outsiders. Armstrong annuì misterioso, si diresse verso una pila di vinili, e prese un album di un gruppo chiamato proprio in quel nome pubblicato dieci anni prima.
“I due rimasero molto delusi”, racconterà Armstrong a Pat Gilbert. In realtà fu grazie a quella coincidenza che la band avrebbe scelto un nome ben più incisivo. A proporlo fu ancora una volta Paul Simonon, che ha notato una parola quasi onomatopeica, che compare spesso sulle prime pagine dei giornali, nei titoli allarmati e negli editoriali di condanna: Clash, “scontro”, “contrasto”, “urto”, “conflitto”. Ecco il nome giusto: The Clash.
Il 4 luglio, il gruppo è pronto a fare il suo debutto sul palco. Suonano di spalla ai Sex Pistols ai Balck Swan di Sheffield. La serata era stata organizzata da Malcolm McLaren, che aveva spacciato la nuova band di Joe Strummer per i 101’ers. La prima canzone che suonano è “Listen”, un pezzo strumentale, che sembra essere scritto apposta per fare esercitare l’apprendista Paul Simonon e che si apre proprio con una scala di basso.
Simonon non si ferma al punto giusto, e i suoi compagni scoppiano a ridere. “Quella canzone iniziava con un giro di basso che risaliva per tutta la scala e poi scendeva di una nota – racconterà Joe – e Paul era così nervoso che continuava a salire lungo la scala e basta. Noi morivamo dal ridere perché non sapevamo quando entrare”. La scaletta è composta poi da alcuni pezzi scritti in passato da Mick e Joe (come “Protext Blue” di Jones, che finirà nell’edizione inglese del disco di debutto) e alcune cover (figura anche un pezzo garage come “I Can’t Control Myself” dei Troggs).
Quale giorno più tardi, Mick e Joe stanno lavorando ad un pezzo sulla disoccupazione e il rifiuto del lavoro malpagato. Simonon passa da quelle parti, ancora una volta getta lo sguardo su un giornale, rubrica delle offerte di lavoro, e dice: “Intitoliamola così, ‘Careeer Opportunities’”. [24. continua domani]
Bernie Rhodes convince l’amministrazione locale che l’edificio che un tempo era occupato dal magazzino doganale delle distillerie Gilbey’s, a Camden, oggi poteva diventare una sala prove per ragazzi svantaggiati. Dunque, gli viene concesso il capannone ad un prezzo politico e lo spazio è ribattezzato “Rehalsal Rehalsals” e diventa il quartier generale della band ancora senza nome e senza batterista.
Strummer entra a contatto con persone diverse dal solito: dal mondo squatting e hippy – che non è certo composto da damerini – passa a frequentare il milieu della teppa londinese, gente come il chitarrista dei Pistols, Steve Jones, che ruba per abitudine, o come Robin Banks, futuro accompagnatore dei Clash in tour e reduce da un periodo in carcere per rapina (nomen omen, come si suole dire).
In genere, questa fase di vita viene descritta come una cesura totale nella vita di Joe. Non è vero al cento per cento: Mickey Foote, il fonico tuttofare conosciuto ai tempi di Newport, segue Joe, e si rivelerà un ottimo acquisto. Per qualche session, il batterista è Paul Buck (aka Pablo Labritain, vecchio amico di Joe dai tempi della scuola e futuro membro dei 999), poi il ruolo viene affidato a Terry Chimes. Anche Chimes è appassionato di arti figurative, e quando si tratta di dipingere i locali propone di schizzare la vernice “in stile Jackson Pollock”, affascinato dallo stile dell’espressionismo action painting dell’artista statunitense. Paul Simonon sale in cattedra, confermando il suo talento per le arti figurative: Joe rimane a bocca aperta quando sente questo rude boy di Brixton discettare di arte contemporanea ed entrare nel merito della questione con sensibilità e acume. Più in là, quando qualcuno ricorderà il riferimento a Pollock nel descrivere i vestiti sporchi di vernice della band ai primi concerti, Simonon sorriderà e sminuirà la cosa: “Sono sporchi di vernice perché abbiamo dipinto e ci siamo sporcati”.
Pare che la prima canzone mai suonata dai Clash in sala prove sia una versione primitiva di “1-2 Crush On You”, un pezzo scritto da Mick Jones che poi finirà come lato b del singolo “Tommy Gun”, nel 1978.
Paul Simonon dipinge sulle pareti uno dei suoi paesaggi metropolitani, con un incidente automobilistico in primo piano. Uno scontro. [23. Continua qui]
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